Nelle ultime settimane abbiamo assistito, da parte dell’amministrazione comunale e dei suoi comunicatori, alla costruzione di una caricaturale contrapposizione tra chi vorrebbe una città viva, piena di concerti e chi, al contrario, protestando per i disagi, sognerebbe il ritorno a una città priva di iniziative. Il racconto di una Ferrara culturalmente morta, prima del salvifico arrivo della giunta Fabbri, sarebbe persino risibile, se non avesse convinto molte e molti cittadini ferraresi, che hanno salutato, due anni fa, il concerto di Bruce Springsteen come l’avvento di una nuova era. La storia di Ferrara è, in verità, quella di una città che negli ultimi trent’anni ha puntato sulla cultura e, anche, sull’organizzazione di grandi eventi musicali. Numerosi – ed è persino superfluo nominarli – sono stati i musicisti, le band che hanno fatto la storia della musica internazionale che hanno calcato i palcoscenici cittadini.
La manipolazione del dibattito su questi temi fa sì che ai cittadini e alle cittadine venga posta un’alternativa secca: o così oppure niente. Eppure la costruzione di una politica culturale richiederebbe partecipazione e condivisione, ascolto delle persone coinvolte, progettualità e competenze. Tutte cose che, negli ultimi anni, sono mancate.
I concerti sono una grande opportunità, non solo per ragioni turistiche (non tanto per l’afflusso dei turisti, ma perché aiutano la città a farsi conoscere), ma anche per ragioni culturali. La possibilità per i cittadini di godere della musica e – più in generale – della cultura è un diritto sociale, tanto quanto quello di curarsi, di istruirsi, di lavorare. Né va dimenticato che lo spettacolo è un importante settore economico e che le lavoratrici e i lavoratori – spesso precari – del settore musicale, meritano lo stesso rispetto di tutte e tutti gli altri.
La contestazione riguarda piuttosto il come si costruisce una programmazione, quali sono gli obiettivi che ci si prefigge e come li si propone alla città. La giunta Fabbri, avendo vinto le elezioni, ha avuto il diritto di proporre la propria politica culturale. Noi però abbiamo il diritto di sostenere che le scelte fin qui effettuate sono state ambigue e poco preveggenti in tutto il comparto culturale (è sufficiente menzionare ciò che sta accadendo a Palazzo dei Diamanti). Per quel che riguarda la musica si è scelto di sostenere un festival-contenitore, anziché privilegiare, come era stato fatto in passato, festival con un’identità più precisa e che rendevano Ferrara più identificabile. Non si tratta, vogliamo chiarirlo, di un giudizio sugli artisti né sui gusti del pubblico, ma di una valutazione su scelte che, pur compiute da privati, hanno un impatto pubblico, in termini di finanziamento e di spazi.
Proprio sugli spazi, d’altronde, sono emerse particolari criticità. La scelta del Parco Urbano per il concerto di Springsteen e, ora, di Vasco Rossi, ci appare sbagliata non solo per le preoccupazioni dei movimenti ambientalisti ma perché non è chiaro se Ferrara intende fare concorrenza a realtà più organizzate anche molto vicine a noi (Reggio Emilia, Bologna) nell’organizzazione di megaconcerti oppure se, come appare, questa scelta è dovuta ad esigenze elettoralistiche. Di nuovo, non si tratta di criticare gli artisti – ricordiamo bene la legittima felicità di molti fan del Boss nel poterlo ascoltare in città – ma delle scelte politiche che ci sembrano poco lungimiranti. Il fatto che si siano dovuti aspettare due anni per vedere un altro “grande” concerto in una location che era stata attrezzata – un poco a tradimento – a quello scopo, dovrebbe far sorgere dei dubbi a tutte le cittadine e a tutti i cittadini sulle reali possibilità di organizzare grandi eventi in un contesto già saturo – e in costante difficoltà – come quello dei concerti in Italia.
Altrettanto sbagliata ci appare la scelta di quest’anno di Piazza Ariostea come spazio per il Ferrara Summer Festival, che ha peggiorato, se possibile, il già assai discutibile posizionamento in Piazza Trento e Trieste, che veniva sequestrata per un intero mese. Piazza Ariostea non è un luogo adatto per i concerti, come ha ricordato recentemente l’ex assessore Alberto Ronchi, menzionando esperienze passate poi archiviate, per motivi legati all’acustica, alla presenza di residenti molto vicini alla piazza e della coesistenza con un importante asse viario cittadino. L’abbandono di Piazza Castello – evidentemente considerata troppo piccola dagli organizzatori – ci appare una scelta decisamente errata. Così come lo è la scelta di liquidare le critiche dei residenti per concerti e feste il cui impatto e la cui durata, assai più lunga di quella degli anni passati, sono significative, senza proporre soluzioni alternative. L’amministrazione pare tenere in conto solo gli interessi dei privati che organizzano, peraltro beneficiari di contributi pubblici spalmati fra amministrazione e partecipate.
Una città è, prima di tutto, una comunità. Siamo convinti che la maggior parte delle cittadine e dei cittadini ferraresi sarebbero felici di poter continuare a contribuire alla realizzazione di concerti e iniziative che rendono la nostra città ricca e vivace, se fossero coinvolti e ascoltati. L’equilibrio tra i diritti di tutti è difficile, ma non è impossibile. E sarebbe opportuno che si trovassero spazi e tavoli di ascolto e confronto quando si organizzano eventi culturali. Per evitare contrapposizioni che inquinano la vita della nostra comunità. Contrapposizioni che spingono alcuni a proporre, in maniera che noi non condividiamo, l’espulsione della musica e dei concerti dal centro della città. Oppure che giudicano musica e cultura a seconda dei propri gusti.
Al contrario noi pensiamo che i concerti debbano continuare a essere parte del tessuto culturale della città e del suo centro storico, ma vorremmo che si ragionasse di più su spazi, programmazione e progettualità e, soprattutto, che si aprissero spazi di confronto, perché Ferrara è di tutte e tutti noi e non solo di chi ha vinto le elezioni.
Coalizione Civica per Ferrara